Prima di fare il lavoro che faccio, di acqua sotto il mio ponte professionale un po’ ne è passata. Diciamo pure che non mi sono fatta mancare niente. Ieri mentre da Milano andavo a Como, dai miei, ripensavo a quando quel tratto lo facevo in treno, perchè la macchina ancora non ce l’avevo e mi portavo dietro gli appunti da studiare. Incastravo l’università tra un lavoretto e l’altro e delle volte è capitato che mi sentissi invincibile.
Appena arrivata a Milano (a vivere) ho subito avuto la necessità di un lavoro che integrasse quello che già facevo a Como (ovvero la commessa da Coin durante il weekend). Non mi ricordo benissimo come, ma alla fine sono approdata in un call center, non però uno di quelli dove ricevi le telefonate della gente incazzata, ma uno dove sei tu a fare incazzare la gente chiamandola durante i momenti meno opportuni per propinare un’intervista sul gradimento del tal prodotto o del tal servizio.
Funzionava così: per decidere se il candidato al lavoro potesse essere in grado di sostenere una conversazione telefonica in modo educato e potesse riuscire a convincere il malcapitato all’altro capo del telefono a rispondere alla sfilza di domande previste, il ‘call center’ (chiamiamolo così) ti sottoponeva a una mattinata di prova. Chi fosse riuscito a portare a termine almeno un’intervista nell’arco di un’ora avrebbe avuto il lavoro.
Il culo (inteso come fortuna) spesso è stato dalla mia parte e capita così che la prima persona a cui io abbia mai telefonato da lì fosse una simpatica vecchietta di Como con la quale in due minuti si era instaurato un clima rilassato che mi aveva permesso di portare a termine l’intervista in 10 minuti secchi. Arruolata.
Dalla settimana successiva e per alcuni (credo 3) mesi dopo, il mio posto di lavoro è stato una stanzona piena di studenti come me e di uomini e donne di mezza età che avevano perso il lavoro o avevano bisogno di portare a casa un secondo stipendio. Gli studenti erano i più scazzati (il lavoro era un vero schifo), ma gli altri ci credevano e si comportavano sempre irreprensibilmente, schiavi di un sistema davvero perverso.
Ieri mi è venuta in mente questa mia esperienza di lavoro perchè mentre ero in macchina e guidavo mi scappava la pipì e ogni volta che mi trovo in un posto dove non mi è possibile raggiungere subito un bagno ripenso a quel call center. Perchè lì, al bagno, ci potevamo andare due volte al giorno se facevamo il turno diurno (9-13/14-17) e una volta se facevamo il serale (credo fosse 18:30-21:30).
Il nostro responsabile aveva un foglio, tipo tabella di Excel, con su scritti i nostri nomi: la mattina faceva l’appello e segnava gli assenti. Poi lo stesso foglio serviva per indicare le pause: ne avevamo a disposizione due da 10 minuti l’una, una al mattino e una al pomeriggio. In quei 10 minuti dovevi riuscire a fare tutto: andare in bagno, fare uno spuntino, sgranchirti un po’, bere un caffè, chiamare a casa o inviare un SMS al tuo fidanzato. Solo che capitava che magari al bagno ci dovessi andare un’altra volta.. la cosa non era contemplata, ma se il tuo tutor era particolarmente incline alla bontà poteva farti fare la pausa di 10 minuti al mattino, concedertene altri due/tre per una seconda pipì mattutina, e poi levarti quei minuti dalla pausa del pomeriggio. Giuro.
Ho passato giornate a trattenere la pipì, ad avere mal di collo e a tenere a bada brontolii di stomaco. Se avessi avuto la libertà di alzarmi un numero indefinito di volte, avrei sicuramente avuto meno necessità. Era pazzesco: più mi incatenavano alla sedia più trovavo ragioni per dovermi alzare. Una volta, colta da crampo durante un’intervista, decisi di farla in piedi: da quel momento mi fu espressamente detto che il super capo (chissà chi era, secondo me nessuno) avrebbe ascoltato tutte le mie interviste per capire se il lavoro venisse fatto con il dovuto rigore.
Ho provato a farmi sbattere fuori più volte: una mattina durante la composizione dell’ennesimo numero che suonava a vuoto, aprii Repubblica (il quotidiano) in barba al divieto di non poter avere nulla sul proprio banco se non fazzoletti di carta e una bottiglietta d’acqua. Richiamo immediato e pesantissimo, ma niente licenziamento.
Passai al turno serale: meno ore e paga più alta, ma la gente ti sbatteva il telefono in faccia più spesso e con un’arroganza senza precedenti (ma come dare loro torto?). La mia vita lì dentro durò ancora poco fino a quando trovai un lavoro vero, una roba un po’ ‘dalla padella alla brace’, ma un’esperienza che ancora adesso considero formativa al 200%.
Perchè vi ho raccontato questo? Boh, forse per dirvi che se durante una riunione mangio uno snack e se appena arrivata a un appuntamento vado in bagno a fare pipì, non è per mancanza di rispetto nei confronti degli altri, ma per amore verso me stessa.