Dieci anni fa vivevo a Milano da pochi mesi, frequentavo l’Università, il sabato e la domenica facevo la commessa alla Coin di Como e il martedì e il giovedì sera frequentavo un corso di produzione cinematografica (a Milano). Diciamo che non avevo modo di annoiarmi. Al termine del corso di cinema ho ‘vinto’ la possibilità di un lavoretto in una piccola produzione: per due settimane sono stata la segretaria di edizione di un programma girato per una TV privata.
La segretaria di edizione è quella figura che, nelle produzioni di film così come di fiction o comunque di un prodotto che non viene girato in sequenza, tiene traccia di tutto quello che accade sul set: qual è il take buono, dove lo si rintraccia nel marasma del materiale girato, in quale posizione erano gli attori alla fine di una scena che magari, giorni dopo, va raccordata a un’altra che andrà quindi preparata in modo tale che non ci siano differenze di alcun genere e via così.
Tra i tanti lavoretti fatti è sicuramente quello che ricordo con più piacere e gioia: ero la più giovane della troupe, ero coccolatissima, il regista (ciao!) era parecchio carino e mi metteva quella sorte di soggezione imbambolante che credo noi donne riusciamo a provare molto spesso nella vita e, cosa più importante, il lavoro mi piaceva tanto.
A un certo punto mi viene chiesto, per una serie di coincidenze e intrecci, se ho voglia di fare la stessa cosa per una vera produzione, per un film vero: chiunque lavori nel cinema (ma anche in TV) sa quanto sia difficile ritagliarsi il proprio angolino e avere la possibilità, perlomeno, di tentare quella strada. A me venivano offerti, per caso e in una botta sola, angolino e possibilità. Li rifiutai. Ci ripenso ancora oggi, che di anni ne sono passati appunto dieci, che di lavorare nel cinema ormai non ci penso più, come a quella volta che non facendo una scelta, ne ho fatta un’altra.
Sul piatto della bilancia c’era questo lavoro, da prendere subito, al volo e da iniziare la settimana successiva, e una vacanza con l’uomo con cui ero appena andata a convivere che a me sembrava grande e che invece era più giovane di me ora. C’erano giorni in giro per l’Italia senza meta, c’era l’amore da vivere all’ombra del campanile di Giotto e poi su una spiaggia del Tirreno, c’erano mangiate di pesce cullati da un cantastorie e c’era, in sostanza, una vita che così com’era non conoscevo, ma che avevo voglia di scoprire.
Dopo di allora di opportunità nel mondo del cinema non ne ho più avute benché le abbia cercate.
Questa cosa mi è tornata in mente dopo aver letto ‘Le scelte che non hai fatto’ un libro, che voglio definire ‘speciale’ per tanti motivi, di Maria Perosino edito da Einaudi. Che dice che siamo fatti per il 51% delle scelte che abbiamo fatto e per il restante 49% di quelle che, al contrario, non abbiamo fatto. E queste sono sia quelle fatte (o non fatte) per esclusione, ovvero scelgo questa strada e non quell’altra (vedi sopra), sia quelle che proprio non tengono conto della nostra volontà. Quante volte ti sei trovato in una situazione non per tua scelta, ma perché la vita è andata così?
Siamo la somma di tutto questo, di volontà espresse, di volontà negate e di volontà mai venute alla luce.
Come sarebbero andate le cose se quel lavoro l’avessi accettato? Le ipotesi sono tantissime, gli scenari altrettanti e i film che posso farmi (e che mi sono fatta) sono tutti validissimi, tanto sono immaginati.
So solo che quella che sono ora è fatta anche di tutti questi film non vissuti e allora, penso, forse mi è andata bene così.