Il corriere ha appena suonato qui, nel mio nuovo-vecchio ufficetto. Mi ha portato un libro che profuma di carta, quella dei tomi voluminosi pieni di parole e di immagini. E’ il catalogo della mostra ‘Prima Materia‘ che lunedì ho avuto modo di visitare a Venezia a Punta della Dogana, uno delle sedi museali della Fondazione François Pinault.
Qui sopra di Venezia ho scritto un paio di volte (qui e qui). Ci sono tornata lo scorso weekend per la Mostra del Cinema (ne scriverò più avanti) e sono rimasta qualche ora in più delle mie compagne di avventura per cercare di godermela da sola. Alla Fondazione Pinault ci sarei dovuta andare già nel 2011 quando per la prima volta sono stata alla Biennale d’Arte. Era stata una mini-vacanza un po’ strana che mi aveva però fatto amare Venezia come mai prima. Poi sarei dovuta andare a visitarla l’anno scorso, sempre in occasione della Biennale, ma il tempo era poco e Burano (che anche non avevo mai visto) ha vinto.
Non ci sarei dovuta andare da sola allora, ci sono andata però sola questa volta. Ho immaginato di avere accanto qualcuno che riuscisse a spiegarmi cosa poteva esserci ‘dietro’ le opere che stavo osservando, quale fosse la storia degli artisti esposti e così via. Mi sono messa di vero impegno e ho studiato a lungo e con meticolosità la guida che mi è stata consegnata all’ingresso. Ho sottolineato quel che mi aveva colpito delle spiegazioni delle opere, ho fatto delle foto io stessa a ciò che era esposto e ho cercato di dare un (mio) senso a ciò che stavo guardando.
Poi sono stata presa dalle emozioni, ho guardato fuori da una delle finestre della Fondazione e ho visto una casa veneziana con giardinetto annesso e ho pensato a quanto fosse bello il tempo in cui ci si immaginava a vivere in una casa così, a prendere l’aperitivo (sì, lo so, sono fissata) in un dehors con vista laguna e ho cercato di sbirciare tra le tende delle finestre di quella casa per immaginare la vita di chi lì dentro passa le sue giornate.
E così la guida l’ho persa, forse mi è caduta, non lo so. Me ne sono accorta sul treno che mi riportava a Milano e ho chiesto subito la possibilità di averne un’altra copia per affidare a una ‘cosa’ il ricordo di una giornata che ha sancito la voglia di usare un vecchio ricordo per costruirne uno nuovo. L’impresa è complicata e altamente coinvolgente.
Qui sotto le opere che mi hanno colpita di più, con qualche spiegazione.
Realizzata riprendendo la calligrafia dell’artista, questa opera fa riferimento alla natura effimera e deperibile del neon stesso, con il quale è stata, appunto, realizzata.
Loris Gréaud ha realizzato questa opera appositamente per la mostra Materia Prima: si tratta di una stanza al cui interno viene diffuso un suono difficilmente decifrabile noto con il nome di scala di Shepard. La luce bianca preclude la formazione di ombre e sulla parete un feto di scimmia ruota continuamente su se stesso in senso antiorario. A un certo punto tutto si spegne: luci e rumori. Solo sul muro gira il primate, senza sosta. Tutto poi ricomincia.
Questa opera mi ha colpito perché il viso di Roman Opalka che lui stesso ha ritratto in una serie di fotografie scattate ogni giorno per un periodo di tempo piuttosto lungo, mi ricorda quello di una persona alla quale voglio molto bene e che non so se vedrò mai più. Sono rimasta a contemplarla per minuti interi. Senza annoiarmi e senza pensare a nulla in particolare.
L’opera che trovi nell’header è Courbet’s Canvas di Arakawa del 1970.