Oggi mi è successa una cosa spiacevole, molto a dire la verità. Non starò a lamentarmi per quel che mi è capitato, perché mi sono annoiata io delle mie presunte sfighe quindi chissà tu, ma ti racconto una storia che forse darà un senso al titolo del post.
A 23 anni ho iniziato a lavorare come assistente personale, segretaria amministrativa e, in generale, tuttofare, in un ufficio qui a Milano, molto vicino a quello che occupo ora. La mia datrice di lavoro era una donna estremamente energica, con un pelo sullo stomaco non indifferente, tanto generosa quanto ‘stronza’ (si può dire, sì?) e che me ne ha fatte vedere di tutti i colori.
Sono rimasta a lavorare con lei quasi due anni. In quei mesi sono dimagrita di quasi 10 chili e, allora, ormai 10 anni fa, ero decisamente più asciutta di ora. Non dormivo la notte, sognavo quel che accadeva in ufficio, quel che sarebbe potuto accadere e, più precisamente, provavo nei sogni uno stato d’ansia che mi confondeva. Non stavo bene, ma tenevo duro: avevo bisogno di lavorare e sapevo, anche se allora non mi era ben chiaro, che stavo imparando qualcosa.
Mi trovavo spesso a dover decidere se prendere la strada che mi veniva indicata o se fare di testa mia, cercando di essere leale, sincera e ‘giusta’ con chi invece, a detta di chi mi pagava, non avrebbe meritato così tanto. Mi dilaniavo: c’era questa forza potente che mi portava a essere me stessa, a puntare i piedi contro le ingiustizie, a dirmi che la sera allo specchio mi sarei dovuta guardare senza trovare niente di sbagliato o di poco convincente. E poi c’era la strada più semplice, quella di fare quel che mi si diceva di fare ché tanto la responsabilità, comunque, non sarebbe stata mia perché io, in fondo, ero solo una ‘pedina’.
Chiamavo mia mamma continuamente, chiamavo le mie amiche, chiamavo il mio fidanzato e mi disperavo: cosa avrei dovuto fare? Ognuno di loro aveva un’opinione, un consiglio, una visione. Ma tutti loro convenivano che la prospettiva giusta dalla quale guardare le cose era sempre e solo la mia. E che solo da quella particolare angolazione avrei potuto valutare con attenzione quale direzione prendere.
Ho molto discusso con la mia (ex) datrice di lavoro. Ho discusso tanto quanto mi ha apprezzato e rimpianto. Tanto quanto io ringrazio me stessa di non essermi nascosta dietro la scusa del “Sono giovane, non so come muovermi, cosa fare e chi essere”.
Forse è per questo che non riesco più a fare le cose che non mi piacciono perché una volta che scopri che puoi non farle e sopravvivere e avere comunque una vita, beh allora non c’è niente che ti possa più far cambiare idea.
E forse allora non sono mai stata giovane e forse per questo non sarò mai vecchia (dentro intendo).