Caro Babbo Natale,
quanto sarà che non ti scrivo? 23, 24 anni? Eccomi, ti ricordi di me? Sono la versione adulta e alta di quella che ti scriveva le letterine prima dell’8 dicembre e te le lasciava sullo zerbino di casa con qualche mandarino e le noci. E che si stupiva di quanto tu fossi vorace, ma ordinato visto che lasciavi sempre le bucce e i gusci nel piattino, mica sparsi in ogni dove.
So che tu porti doni il 25 dicembre, ma in realtà chi ti scrive, bimbo o adulto che sia, ti chiede regali che possano durare al di là della giornata di festa. Ti scrive per portarsi qualcosa di bello e di nuovo nell’anno che verrà.
L’anno scorso sono sicura di non averti chiesto altro se non di continuare a essere felice. Anzi forse non te l’ho proprio chiesto perché lo davo per scontato. Sono entrata nel 2014 in punta di piedi, stanca per aver cucinato come una forsennata l’ultimo giorno del 2013, guardando il mare e immersa in un silenzio irreale. Non mi era piaciuto tanto, avevo voglia di casino, e quindi, come spesso accade, avevo puntato i piedi, fatto i bagagli e tornata a casa. Tra la pazienza e l’affetto di chi mi stava accanto, ovvio, come tutto mi sembrava. Ovvio.
Ho aspettato che arrivasse la primavera, che è una stagione che mi piace da impazzire perché precede l’estate che è da sempre il momento dell’anno che mi fa sentire quella che sono tanto da pensare di essere nata per altre latitudini, per vivere scalza, con i capelli infeltriti dal sole e dal sale e con la pelle scura che profuma di sole. Sto ancora a Milano, ma nutro speranza per un futuro al caldo.
Facevo bene ad aspettare la primavera perché in un attimo ha spazzato via la vita che stavo vivendo, le certezze e i progetti. Quando ci ripenso mi sembra passato un secolo da allora, eppure, Babbo, sono trascorsi solo pochi mesi. Ma sono stati tanto intensi, pieni di cose e di persone che l’acqua sotto il ponte è stata a dir poco travolgente.
Nel 2014 mi hai regalato tanti pensieri, mica sempre positivi devo ammetterlo, e soprattutto, una consapevolezza di me che già c’era ma che ancora non era venuta a galla.
Mi hai regalato la capacità di stare in piedi anche quando il vento soffia forte, di essere in grado di chiedere aiuto quando sembra che stia per cadere a terra, di mantenere alta la mia dignità anche quando l’unica cosa che ti viene voglia di fare è quella di non averne neanche un po’. Mi hai ricordato che ‘la religiosa accettazione della fine’ (cit.) non mi appartiene, che sono testarda e che finché non le ho provate tutte non mi arrendo. Ma mi hai anche insegnato che a volte mollare il colpo è liberatorio, che provoca ulteriori ferite, è vero, ma tanto poi si rimarginano.
Mi hai fatto vedere come si mettono i punti a un cuore a pezzi, mi hai mostrato come la solitudine sia più curativa delle parole, talvolta, ma mi hai anche fatto riallacciare rapporti che pensavo fossero finiti da un pezzo. Mi hai donato l’affetto di persone che sapevo di avere intorno, ma il cui valore non lo avevo mai considerato fino in fondo. E per evitare di farmi seghe mentali non penso cosa possa aver fatto io di tanto buono per avere così tanto amore intorno. Lo prendo e me lo godo, a volte con il cuore leggero, a volte con un macigno sul petto, che tanto poi so che se ne va.
Mi hai fatto innamorare ancora, quando pensavo che non sarebbe stato più possibile. Mi hai messo i gommoncini sul diaframma, quando pensavo di essermi dimenticata l’effetto che potessero fare, mi hai fatto fare incontri inaspettati, mi hai regalato persone che ho scartato come fossero dei pacchi, con entusiasmo e voglia di scoprirle.
Mi hai fatto tornare ad ascoltare la musica e chiedermi come avessi fatto tutto questo tempo senza. Mi hai fatto scoprire una parte tenera di me che custodisco gelosamente e mi hai fatto fare i conti anche con il mio oscuro passeggero. Mi hai fatto stare tanto sola con me stessa e non ho ancora capito se questa cosa mi piace in via definitiva o no. So solo che mi sto simpatica, soprattutto quando a casa, da sola, alzo il volume dello stereo a palla, ballo in mutande e canto a squarciagola, come fa Callie Torres in Grey’s Anatomy.
Ti ringrazio anche per avermi permesso di tenere sempre il cuore aperto, ma proprio sempre, sempre. Anche di fronte ai silenzi e alle possibilità negate, all’egoismo e alla poca voglia di me. Grazie per farmi vedere al di là di questo e grazie anche per non farmi sentire un’idiota quando esprimo i miei sentimenti nonostante tutto e rischiando tutto quel che ho da rischiare.
Grazie per avermi dato anche un po’ di malinconia: senza non potrei davvero apprezzare quello che ho. E grazie per avermi regalato la capacità di capire e quella di essere capita.
Per il 2015, Babbo Natale, ti chiedo ancora tutto questo se è possibile: magari con qualche lacrima di meno e tanti sorrisi in più, quello sì. Ma mi fido, comunque vada.
Ah, sì e se ti capita di avere la possibilità di farmi viaggiare un po’, ne sarei feliciona.