Il biglietto per andare New York l’ho comprato il 30 dicembre. Ero in ufficio: la mattina l’avevo impiegata per fatturare (sic) e la prima parte del pomeriggio per scrivere una mail che ho stampato, per ricordarmi di quando ho aperto il mio cuore pur sapendo che da quella porta non sarebbe entrato nessuno. La sensazione, dopo aver fatto una cosa così, è quella di profonda liberazione e pace con te stessa, ma contemporaneamente, non puoi far altro che cercare un’altra porta, varcarla, e stare un po’ in un’altra stanza, nascosta, aspettando di capire come si metteranno le cose. Ovvero se sarai in grado di essere sempre in pace con l’aver aperto il tuo cuore. O qualcosa del genere.
La stanza nella quale mi sono voluta nascondere si chiama New York. E’ una città che ti innamora, e io lo sapevo già, perché innamorata di lei lo sono da oltre 15 anni. Solo che negli ultimi quattro non ci sono mai tornata, nonostante volessi. L’anno scorso, quando nella mini-casa improvvisamente mi sono ritrovata da sola, la prima cosa che ho pensato è stata “Vado a New York“, un po’ per staccare, un po’ perché lì ci sono almeno tre delle persone più care che questa vita mi abbia regalato. Sapevo che lì mi sarei sentita al sicuro, sapevo che sarei stata coccolata, perculata il giusto ed ero certa che sarei riuscita a vedere le cose anche da un altro punto di vista, per creare così una prospettiva (indovina chi sto parafrasando).
Il tempo è passato, il cuore spezzato è stato ricucito, qualche altra ferita è stata causata, ma si sta lavorando alacremente per rimarginarle in modo quasi definitivo. Il viaggio a New York è così passato dall’essere una necessità curativa a un desiderio di (più) felicità. Sono tornata rigenerata e i giorni passati lì sono stati sinonimo di leggerezza, serenità e sì, dai, diciamolo, felicità.
Devo ammetterlo: per qualche mese, si parla di poco tempo fa, ho avuto un problema con la felicità degli altri. Era strano, perché in passato di come stessero gli altri mi interessava molto e il mio desiderio era che stessero bene. Poi ho cominciato a provare una strana forma di invidia: mi sentivo sempre meno felice di chi pareva esserlo più di me (è un pensiero un po’ contorto, abbi pazienza). Il lavoro girava meglio a caio e tizia riusciva a costruire con il suo compagno un presente – e ipoteticamente un futuro – più roseo di quel che stessi facendo io. Poi è subentrato il mio annus horribilis e della felicità (ma anche della tristezza) degli altri me ne sono completamente fregata. Al centro del mio mondo c’era la mia angoscia e la mia ferrea volontà di uscirne, sana e salva. Ora che la tranquillità è tornata, ora che l’ansia è sparita, che il peso sul cuore se n’è andato, sono felice di trasmettere, almeno qualche volta, felicità. E sono felice che questa felicità, almeno dai più, sia stata vissuta positivamente. Non c’è niente di meglio di sentirsi dire “Sono felice: vuoi esserlo anche tu con me?” e non c’è niente di più bello che provare a contagiare gli altri con i tuoi sentimenti positivi. E adesso, posso dirlo con sicurezza, oltre alla mia, desidero anche la felicità degli altri.
New York è stata un toccasana: camminare tre metri sopra i marciapiedi, leggera leggera, con un sorriso sempre stampato (lo so perché sono vanitosa e mi specchio continuamente nelle vetrine), conoscere persone nuove con le quali fare tanto le psico-chiacchiere quanto i discorsi minchioni, mangiare senza ritegno qualsiasi cosa avessi voglia di assaggiare come sinonimo dell’essere indulgente con me stessa e far strisciare la carta troppe volte più di quel che sarebbe stato giusto fare, mi hanno riportato ancora di più nella mia dimensione, quella che avevo perso per strada, che mi aveva fatto dimenticare quanto sia bello avere amici speciali che a distanza di anni e a distanza di chilometri ti abbracciano come se avessi ancora 16 anni e fossi un pulcino sperduto nel mondo.
Solo che non lo sei un pulcino sperduto nel mondo, ora sei una donna consapevole e autonoma (sic), ma sentire che qualcuno ha voglia di occuparsi di te, senza aspettarsi nulla indietro, è quanto di più mi era mancato negli ultimi 10 anni.
Dopo la parte psico del post ecco qualche indirizzo che mi sento di consigliarti (tralascio tutte le ‘cose’ turistiche, perché le guide ufficiali sono sicuramente più complete ed esaustive di quel che posso essere io):
Baked: nel cuore di Tribeca trovi questa piccola e accogliente bakery, succursale dell’omonima a Brooklyn. Mi è stata consigliata da Nine Fingers One Toe mentre visitavo il Memorial del 9/11 e, avendo idea di tornare verso il Flatiron a piedi, ho pensato che una sosta per rifocillarmi ci sarebbe stata benissimo. Ho preso un banana bread con pezzi di cioccolato e il classico caffè americano. Tutto promosso, compresa la clientela formata perlopiù da giovani lavoratori, credo freelance, che usano Baked come punto di riferimento per i loro meeting, Skype call e simili.
279 Church Street
NYC, NY 10013
www.bakednyc.com
Friend of a Farmer: tra i miei desideri durante la settimana di permanenza a New York ce n’era uno non discutibile: fare un vero brunch. E sono stata accontentata. Il sabato mattina sono stata da Friend of a Farmer, un locale che sembra una fattoria (ma una di quelle chic), dove i tavoli sono in pietra, i soffitti a cassettoni e dove ovunque sono sparsi frutta, verdura e utensili degni della vita in campagna. La scelta è ampissima e ho idea che qualsiasi cosa non deluderà le aspettative. Io ho optato per il Salmon Platter composto da, appunto, salmone affumicato, cipolle, bagel e burro. Nella foto non si vedono, ma abbiamo proseguito con dei pancake ai mirtilli ricoperti di salsina alle mele. Ho l’acquolina solo a scriverne.
77 Irving Place,
New York, NY 10001
http://friendofafarmerny.com
Alice’s Tea Cup – Chapter II: a New York ho avuto modo di incontrare Kiara, l’anima di NYC4All, il servizio che offre tour nella grande mela così come l’organizzazione di iniziative personalizzate sulle esigenze dei clienti. Ci siamo conosciute inizialmente tramite Instagram (che belli che sono delle volte i social media) e poi abbiamo deciso di prendere un tè insieme. Kiara mi ha portato in questo localino delizioso, zona Upper East Side, che è poi uno dei tre della ‘serie’ presenti a NYC. Come potrai capire dal nome l’ispirazione è quella di Alice nel Paese delle Meraviglie: sulle pareti trovi le frasi del libro, i tavoli sono apparecchiati perfettamente, pronti per ricevere gli ospiti che, sicuramente, sceglieranno una delle tantissime varietà di tè presenti sul menù. Io ho optato per un Organic Ginger e un cupcake al cioccolato.
156 E 64th St
New York, NY 10021
http://alicesteacup.com
Papyrus: se anche tu sei un amante di cartoleria e amenità varie, Papyrus è il tuo posto. Io credo di essere entrata in tutti i punti vendita della città che mi sono capitati a tiro e di aver comprato qualcosa tutte le volte. Tra migliaia di biglietti augurali, libri illustrati, tazze e calamite trovi sempre un oggetto che non solo può piacerti, ma anche ispirarti. Ho pensato bene di riempire il mio Instagram di frasi trovate lì dentro che, guarda caso, facevano sempre il caso mio (ma c’è chi mi insegna che sono fatte apposta per essere adatte a tutti).
Georgetown Cupcake: il piano non era sicuramente quello di mangiare, anche se a NY il mio stomaco non è mai stato a riposo. Girovagavo per SoHo, un po’ per fare shopping, un po’ perché mi sarebbe piaciuto visitare il Drawing Center (cosa che poi ho fatto anche se avrei fatto meglio a risparmiare i 5 $ di ingresso) quando mi sono imbattuta in questa bakery di soli cupcake, molto grande e con la cucina a vista. Dicono di servire, proudly – aggiungono -, solo caffè Illy. Ho scelto un cupcake doppio cioccolato e non me ne sono per niente pentita.
111 Mercer Street (between Spring and Prince)
New York, NY 10012
www.georgetowncupcake.com
Lobster Place c/o Chelsea Market: la prima cosa che mi sono sentita dire arrivata a NY è stata: “devi mangiare il lobster roll”. Detto, fatto. Su consiglio di Kiara (vedi sopra) ho approfittato della consueta ‘gita’ al Chelsea Market (ma che bello è questo posto?) per fare una capatina da Lobster Place e provare finalmente, per la prima volta in vita, il famosissimo lobster roll ovvero una sorta di panino con l’aragosta preparato con il bun che si usa per gli hot dog. Peccato fosse così piccolino, perché me ne sarei scofanata una quintilata.
c/o Chelsea Market
75 Ninth Avenue
New York, New York 10011
http://lobsterplace.com