Magari lo sai già, ma Pindaro era un poeta greco (antico) che amava arricchire la sua narrazione di elementi ricchi di imprevedibilità. I suoi erano voli poetici, che noi oggi chiamiamo, appunto, pindarici. Cioè Pindaro non aveva paura di passare bruscamente da un elemento a un altro, da una descrizione a quella subito successiva e così via.
La scorsa settimana una mia amica mi ha restituito dei libri che le avevo prestato e tra questi c’era anche ‘Molto forte, incredibilmente vicino’, che se non hai letto hai sempre tempo per rimediare. L’ho rimesso in uno degli scaffali e fino a ieri me ne sono dimenticata. Poi, stavo cenando, e per qualche strana associazione mentale ho ricordato che sull’ultima pagina di quel libro (sai quella bianca che c’è alla fine prima della copertina? ecco quella lì) avrei potuto trovare le prove di uno dei miei – tanti – voli pindarici.
Perché se adesso è un po’ che i voli poetici li faccio solo nella mia testa o che nolente mi trovo a doverli compiere per scelte altrui, è vero anche che c’è stato un tempo (e mica troppo lontano) in cui ero cintura nera di pindaricità (annoveriamolo tra i neologismi).
Era il 2 ottobre di poco più di 4 anni fa, faceva caldo, io ero in costume e mi stavo abbronzando festeggiando l’età che pensavo di voler spacciare per mia da lì a qualche anno (e invece compiuti i 30, quel 3 lì davanti mi è stato subito simpatico). All’epoca lavoravo sodo, da sola come adesso, uscivo da una lunga relazione e mi ero appena affacciata a un amore che mi sembrava perfetto. Non avevo una casa e avevo perso il polso di quel che davvero possedevo perché quando vivi con la valigia in mano e gli scatoloni che non sai dove disfare ti abitui a usare meno cose, a ottimizzare insomma. Avevo poche certezze, ma il cuore leggero. Un po’ come adesso, solo che ora il cuore leggero è tutta opera mia, allora no.
Comunque guardando il mare, tra una pagina e l’altra di Safran Foer e con la pelle che profumava di sole, scrivevo i papabili nomi di quella che appena un mese più tardi sarebbe stata la mia prima società. Mi ricordo perfino che penna ho utilizzato per stilare quell’elenco e mi ricordo anche che il secondo nome sulla lista era stato da subito il nostro preferito (infatti ci avevo messo di fianco due +).
Quell’elenco è stato l’inizio di un ennesimo volo pindarico che non mi ha fatto risparmiare in niente: dalla quantità di ore lavorate alle soddisfazioni, dalle preoccupazioni agli scleri, dai dubbi alle assolute e irrazionali certezze, da un conto corrente prosciugato a un bilancio di tutto rispetto. Dal nulla al quasi tutto, dal sentirsi arrivati al volersi invece continuamente migliorare, dal condividere un progetto di lavoro fino ad arrivare a considerarlo un progetto di vita.
Quel mio volo pindarico finisce ufficialmente la prossima settimana, ma la realtà è che ha smesso di essere imprevedibile, affascinante e coinvolgente già molti mesi fa. In tutto questo tempo ho cercato di far riprendere quota alla mia narrazione, inutilmente. Ho ascoltato chi mi diceva di lasciar perdere, prima o poi, ma di prendermi il mio tempo innanzitutto. E così ho fatto: sono stata digiuna di voli pindarici fino a oggi e mentre dico addio a quello che mi ha tenuto compagnia per tutto questo tempo, sono pronta a spendere le energie accumulate per compierne un altro, di lavoro, di vita, di tutto.
Da sola.
O forse no.