Di doversi trovare a rimettere mano alla propria vita, passati i 30, lo augurerei sia alla mia migliore amica, sia alla mia miglior nemica. È una sfida avvincente e impegnativa che sembra non dover finire mai, che sai quando inizia e non sai quando terminerà e che ti scombussola considerevolmente. È un po’ come sentirsi dentro il vento e sapere di dover stringere i denti per non farsi portare via, anche se qualche volta succede.
Avere poco più di 30 anni, trovarsi a rimettere insieme i pezzi di una vita, farlo e poi essere sola in una città come Milano è, diciamo, interessante. Cammini per strada con il tuo pesante quanto leggero bagaglio di consapevolezze, parli di cuori, di amore, di libertà e di, finalmente, volontà di costruire qualcosa che non preveda la simbiosi, ma lo scambio. Non senti più la necessità di dividere per forza una casa e un figlio non è un bisogno assoluto quanto invece una possibilità che metti in conto solo se alcune cose dovessero girare nel verso giusto, non avanzi pretese nè richieste, anche se per qualche strana forma di ipotetica veggenza chi ti sta di fronte pensa di sapere tutto ciò che vorrai, dove tutto ciò che vorrai – per chi ti sta di fronte, ben inteso – si traduce in vita di coppia, domeniche a mangiar gelato e robe noiose che il solo pensiero mi parte la paranoia.
Incontri uomini che hanno la tua stessa età e che, bene o male, chi più, chi meno, un’idea di quel che sono le relazioni, la vita, ce l’ha. Solo che.
Solo che no. Sono teneri gli uomini della mia età (ne ho 33) perché sono insicuri. Loro non lo ammetteranno mai, ma lo sono e tremendamente. Lo sono quando hanno paura e lo sono anche quando di te non gliene frega niente, ma al posto di dirtelo si trincerano dietro un silenzio che, no, credimi, non vale più di mille parole.
In questi ultimi mesi, di trentenni, mi è capitato di frequentarne qualcuno in cui ho trovato pregi e difetti. Vorrei che anche loro avessero fatto lo stesso con me ché sentirmi dire che sono bellissima e speciale e poi non trovarmeli di fianco non è bello come sentirmi dire che devo migliorare mentre mi tengono la mano.
Parlando con amiche e amici, a ognuno di loro (sono solo 4, uno non l’ho inserito per mantenere la cosa a un livello accettabile) ho dato un soprannome che ne racconta le caratteristiche e tu che leggi se sei donna almeno uno di questi – almeno una volta nella vita – l’hai incontrato, e se sei uomo e onesto con te stesso in parte ti riconoscerai.
Specifico che anche noi donne siamo categorizzabili per pregi e difetti e per non fare un torto a nessuno scopro le carte e dico che io sono acida, schizofrenicamente anafettiva e dolcissima, molto solida, ottima ascoltatrice, empatica a livelli rari e una scassapalle da Guiness.
Inizio? Inizio!
Il sottone: era partito male, il sottone. Cioè l’avevo visto e avevo detto “no dai, anche no”. Solo che poi mi ha guardata a lungo, mi ha sorriso dolcemente, mi ha ascoltata e si è aperto tanto quanto ho fatto io, mi ha fatto un complimento e taac, conquistata.
Il sottone è quell’uomo che per la sua donna fa di tutto e di più. Si priva di desideri e personalità, ti accontenta, ti riempie di complimenti ed è di una dolcezza disarmante. Viaggia borderline sul terreno del rigetto (quello stato in cui ti viene da dire “no ti prego, mollami”), ma è un equilibrista di tutto rispetto, allenatissimo sin dalla tenera età, allora innamorato perso (solo) della sua mamma. È affidabile nella misura in cui non trova qualcun’altra che lui pensa abbia più bisogno di lui di quanto ne abbia necessità tu… perché diciamocelo tu non hai gran bisogno di lui e lui, furbissimo, lo capisce.
Il sottone è uno zerbino ed è felice quando viene strofinato per bene: a me gli zerbini sono sempre piaciuti puliti e non consunti quindi va da sè che col sottone ci abbia poco a che fare anche se come ti dice lui che sei bellissima, nessuno mai.
L’ignaro: l’ignaro mi ha intrappolato con le parole, proprio a me che nelle parole ci sguazzo così bene. Esce fuori dal nulla, snocciola un messaggio che ti fa dire “Oh wow sì, di uomini che sanno farsi avanti ce ne sono ancora!”, uno di quei Whatsapp (ah no, Messenger) che ti fa chiamare la tua migliore amica immediatamente per la commozione.
L’ignaro però, come si evince dal suo nome, è totalmente avulso da tutto, anche da se stesso. Ti invita a uscire una, due, tre, quattro, CINQUE volte e tu dici “beh lo farà perché gli piaccio che ne so un pochino-ino-ino” e invece pare di no. Cioè non si sa, non lo sa, non si capisce, non lo capisce. L’ignaro ignora.
E pare non sapere che tutti noi, almeno una volta, in quel posto l’abbiamo presa e che nell’elaborazione del lutto o ci siamo tenuti lontani da qualsivoglia relazione oppure ne abbiamo cercate solo di estremamente diciamo… leggere. L’ignaro, appunto, ignora che si debba fare così, ha enormi potenzialità sprecate in una serie di pranzi e cene molto piacevoli sì, ma la prossima volta esco con i miei amici, grazie.
L’innominabile: è quello che mi ha preso il cuore, accidenti a lui. Mi ha preso il cuore e pure un pezzo di dignità, facendomi vivere una storia che per me era un regalo, aria fresca e pura, in totale clandestinità. Da qui il non poterlo nominare, da qui la ferma volontà a non frequentare più nessuno già impegnato ché l’ottimismo è il profumo della vita, ma a volte la vita puzza, ricordiamocelo.
L’innominabile mi ha conquistata con i cuori perché è uno stratega del corteggiamento (se mi leggi per la prima volta, io amo MOLTO i cuori, ndr), attività questa che viene da lui trattata alla stregua di un file excel, quindi con regole, formule che funzionano sicuro. E, garantisco, funzionano. L’innominabile mi porta fuori a cena, mi fa discorsi che oh wow sì, si allinea alla mia grafomania scrivendomi su whatsapp quasi più di quello faccia io e zac, conquistata! Non parlerò ulteriormente delle caratteristiche dell’innominabile, ma dico solo che se fosse più sincero con se stesso (e quindi con gli altri) sarebbe top. L’altare lo attende e lui sull’altare non attenderà me, ca va sans dire.
L’inconsapevole: eh, bella roba. No, davvero, sono seria. L’inconsapevole è inconsapevole che sarebbe perfetto per me anche se per qualche istante si è comportato come se invece consapevole lo fosse, motivo questo per cui aleggia ancora il mistero del ci è o ci fa. Ascolta più il rumore intorno di quello che ha dentro di lui, è uno di quelli a cui mi viene da dire, per tante cose, “anche un po’ meno”, ma il suo bello è proprio questo, che è tanta roba. L’inconsapevole è il me maschile e di conseguenza è o un libro aperto o una nuvola nera impenetrabile.
Con l’inconsapevole il buongiorno non lo si è visto dal mattino, ma proprio dall’alba. Solo che essendo come me, lo so, è più attirato dal casino e dal dilanio (altrui) che dalla solidità e dalla serenità (mia).
Ma io, caro incosapevole, mi sono rotta le palle del dilanio, del casino, della gente da salvare e di fare la crocerossina. Spero che prima o poi ti rompa anche tu.