Chi mi ha detto – almeno una volta – di smettere di pensare agli altri e di concentrarmi solo su me stessa, è anche chi non mi ha supportato quando si è trattato di doverlo fare.
Per questa e per mille altre ragioni ho da tempo smesso di credere che pensare agli altri equivalga a trascurarsi.
Intendiamoci: prendersi cura di sè non è banale e spesso ci si mette una buona dose di vita per capire come fare. È un po’ come la ricetta della frolla perfetta: il burro deve avere un tot di % di massa grassa, lo zucchero forse è meglio che sia a velo e il riposo in frigorifero ha una sua liturgia. Solo che la prima volta che metti le mani in pasta – letteralmente – non lo sai.
Il giorno che sono tornata a casa dall’ospedale con Allegra la mia vita è cambiata: non perché dormo di meno (molto di meno!), non perché ho smesso di avere abitudini e nemmeno perché ora uscire di casa, da sola o con lei, necessita di un’organizzazione che neanche un business plan, ma perché, fondamentalmente, per potermi occupare bene di lei devo essere in grado di occuparmi meglio di me.
Ho così ritrovato un libro, “Elogio della gentilezza”, che mi ha riaperto gli occhi su qualcosa che era un attimo, in questo periodo della mia vita, perdere di vista: pensare a me (e alla mia famiglia) non deve diventare una questione individualista, ma inscriversi all’interno di un percorso di vita che abbraccia anche agli altri.
Se questa frase la associ al volontariato o addirittura a un mood religioso sbagli, ma la colpa non è tua.
Adam Phillips, lo psicologo che con Barbara Taylor ha firmato il libro, lo mette in chiaro più di una volta: sin dal 1500 la gentilezza (che fa rima con generosità) è stata tacciata di essere vuoi un valore prettamente femminile (Michel de Montaigne scriveva a tal proposito che “per la mente cedere alla pietà è un segno di affabilità, gentilezza, tenerezza, ed ecco perché le nature più deboli come le donne sono più soggette a queste cose”), vuoi anche caratteristica di una vita votata agli altri e quindi ad appannaggio dei benefattori e degli uomini di fede.
Con una tregua significativa nel Settecento quando per piacere si intendeva quella gratificazione personale che deriva dall’essersi presi cura degli “altri” (e quindi dell’essere stati gentili) la gentilezza ha sempre dovuto combattere in trincea per essere considerata come valore positivo e non come debolezza. Con Freud e la psicanalisi ha perso forse la sua battaglia più importante visto che le moderne psicologie riconducono alla sfera prettamente sessuale – lasciando perdere il “cuore” – il sentimento del piacere.
A un certo punto quindi, a vincere, nella società di ieri e di oggi, ha iniziato l’individualismo – che George Saunders, nel bellissimo discorso tenuto ai laureandi della Syracuse University nel 2013 e pubblicato da Minimum Fax con il titolo de “L’egoismo è inutile“, definisce anche “egoismo” – generando quel malinteso culturale per il quale chi pensa agli altri toglie qualcosa a sè, limitando il proprio benessere.
Eppure, ce lo ricordano sia Phillips, sia Saunders, essere gentili – essere generosi – con gli altri, anche quando stanno fuori dalla ristretta cerchia della nostra famiglia – ci fa stare meglio dandoci qualcosa di cui l’egoismo continuamente ci priva: Rousseau lo definiva – senza mezzi termini – l'”essere umani”. Winnicot, qualche secolo più tardi, sosteneva che la capacità degli uomini di entrare in sintonia con i sentimenti degli altri – permettendo nello stesso tempo a loro di fare la stessa cosa – è uno degli (unici) indicatori di (buona) salute mentale.
“Elogio della gentilezza” è un libro complesso – pur essendo abbastanza breve – che ripercorre le tappe storiche, letterarie e psicologiche legate all’evolversi del concetto di gentilezza: da valore intrinseco dell’animo umano (tutti i bambini, si dice, nascono gentili o perlomeno con l’istinto a esserlo) fino al suo essere diventato benchmark dal quale allontanarsi per affermare la propria forza, la propria individualità, la propria (presunta) indipendenza.
“L’egoismo è inutile – Elogio della gentilezza” è invece un libricino che leggerai in meno di un’ora nel quale, oltre all’omonimo discorso sono raccolti un paio di micro-saggi di Saunders e una sua intervista.