Con il mio amico Andre qualche volta si è parlato di come si viene ricordati: quali tracce stiamo lasciando dietro di noi? I social media, e il web in generale, offrono un prezioso supporto al ricordo: quel che scrivo qui oggi potrà essere rintracciato domani e io stessa, qualche volta, rileggo con piacere quel che avevo pubblicato qualche anno fa per rendermi conto che sono sempre la stessa oppure, al contrario, per crogiolarmi nell’orgoglio di aver fatto notevoli passi avanti.
Si dice che il web abbia la memoria corta: quando durante i corsi che tengo mi viene chiesta la mia opinione su illustri scivoloni di reputation da parte di influencer o aziende mi tocca alzare le spalle. Enormi polveroni si riducono al nulla in poco tempo: il rumore che viene fatto è assordante per poi lasciare spazio a un silenzio altrettanto fastidioso. È un bene? È un male? Non so mai rispondere con certezza: un po’ mi fa rabbia che ci sia oblio perché se vale per ciò che è andato storto, penso, allora varrà anche per quel che invece si sarebbe potuto annoverare tra le esperienze virtuose. Un po’ però mi conforta: è bello pensare di avere una seconda possibilità (ma è anche importante che non diventi un’abitudine) perché sbagliare si può, si deve.
Faccio un lavoro che “mi obbliga” a leggere, a guardare, ad ascoltare ciò che scrivono, girano, dicono gli altri. Sono influencer, molte volte, e altrettante altre sono aziende. Mi piace capire come si muovono le cose, a seconda dei tempi che corrono, a seconda della sensibilità di chi guida la comunicazione. Sogno il giorno in cui aprirò Instagram, guarderò le Stories e troverò solo gente felice di stare al mondo per poi aprire Facebook e leggere solo post in cui si condivide benessere e uno sguardo positivo sulle cose. Sogno che l’accelerazione gentile non sia solo quella della comunicazione corporate (qui trovi un bellissimo articolo uscito a riguardo su Il Sole 24 Ore qualche mese fa), ma anche quella della NOSTRA comunicazione, delle persone che ogni giorno, per svago o per lavoro, si ritrovano sui social a parlare, passare del tempo, condividere i propri pensieri.
C’è chi dirà che se è la condivisione della vita il fulcro di tutto quel che avviene sui social, la vita non può essere sempre bella, soleggiata, all’insegna del benessere. Perché la vita è imperfetta, spesso all’ombra e a volte si accompagna con un malessere più o meno accentuato. È vero, risponderò io.
Ma qui torniamo al punto di partenza: come vuoi essere ricordato? Come chi si lamentava dell’imperfezione della vita senza essere costruttivo o come chi invece ne affrontava le avversità – se non con coraggio – perlomeno con la ferrea volontà di affermazione della propria felicità?
C’è chi mi dirà che Pollyanna sta bene solo nei cartoni animati. Per fortuna è vero, risponderò io. Ma allora propongo un esperimento: contare ed elencare tutti i contenuti di lamentela “tout court” che si trovano un giorno qualsiasi, di una settimana qualsiasi su un qualsiasi social media (spoiler: Facebook batte tutti gli altri a mani basse), tirare una riga e dirsi, con assoluta sincerità, qual è il beneficio dall’essere sopraffatti da una condivisione dei pensieri altrui senza che questa sia di utilità per gli altri o per migliorare la propria condizione. Il secondo e ultimo spoiler del post ve lo regalo qui: nessuno. Se anche all’inizio ti sembrerà di riuscire a empatizzare con ciò che leggerai, ad andare più a fondo capirai di condividere solo l’impulso alla lamentela (innato in quasi tutti noi) e, a lungo andare, se il raziocinio (mi auguro) avrà la meglio, non ne potrai più. Darai la colpa ai social “che tirano fuori il peggio delle persone” e ti dimenticherai che il peggio siamo bravi a tirarlo fuori senza l’aiuto di nessuno.
Ecco allora per tornare al punto di partenza forse a me basterà essere ricordata come quella che evitava di tirare fuori il peggio di sè, andando invece alla ricerca del buono che c’era. Facendo un’enorme fatica, a volte ciclopica, ché sarebbe stato tanto riposante aprire Facebook, far scorrere le dita su una tastiera e scrivere parole al vetriolo contro tutto e tutti (e non è un sentito dire, amici, perché qualche “macchia digitale” ce l’ho anche io). Ma questa soddisfazione non la voglio più concedere, né a me, né a nessun altro.