Lunedì sono andata in Triennale (Milano) ad assistere a Conversazione sulla Materia in punta di piedi e ad occhi chiusi. Praticamente una sfida che quasi mi impongo ogni volta che vado a un evento o un’iniziativa della cui esistenza si accorgono gli altri prima di me e a cui partecipo per curiosità ‘a prescindere’.
A dialogare sul palco, invitati da Oikos, promotore dell’incontro, c’erano Rosita Missoni, Paola Navone (qualcuno l’ha definita ‘una forza della natura’), Giulio Cappellini e Mario Abis, moderati da Monica Maggioni. Tema dell’incontro era ovviamente la materia, declinata a seconda del suo utilizzo (moda, design, architettura) e del suo valore.
Di cose ne sono state dette tante e a onor del vero non tutte perfettamente comprensibili da una platea che non ha potuto fare domande e da una serie di blogger, tra cui la sottoscritta, che ha entusiasmaticamente partecipato a un live blogging qui.
Sono stata particolarmente attratta dal dibattito che si è aperto su quanto il valore (e il bisogno) della materia possa o meno essere amplificato da una contemporaneità virtuale. Se è vero che la maggior parte del nostro tempo la passiamo davanti al computer, scambiandoci informazioni e sentimenti di qualsiasi genere attraverso tastiera e schermo, è altrettanto vero che il bisogno di matericità non viene comunque mai meno.
Sul web siamo quel che siamo perchè viviamo parallelamente e perpendicolarmente una vita reale dove i cibi non solo hanno un bell’aspetto perchè fotografati benissimo dalla foodblogger di turno e dove i musei virtuali che stanno prendendo piede nell’ultimo periodo sono solo una (piccola) faccia di quello che l’arte e la cultura ci mettono ‘realmente’ a disposizione.
Se vedo un cupcake decorato benissimo, fotografo e pubblicato su uno dei miei food blog preferiti, l’averlo (solo) visto non mi appaga del tutto, ma stimola solo il bisogno di averlo, per annusarlo, toccarlo e poi gustarlo (ca va sans dire).
Credo che il bisogno di materia, quello innato di stimolare i sensi, sia, appunto, innato. E che niente, web, vita virtuale o alternative a un’esistenza reale, possa mai cancellarlo. Semmai sopirlo, apparentemente, e risvegliarlo tramite gli input che automaticamente offre: l’immagine di un cibo ben cucinato, quella di una stoffa morbida o di un’opera d’arte affascinante.
Ho scritto di questo incontro anche sul blog che seguo per Feel The Yarn qui.