Per chi è appassionato di arte contemporanea Jeff Koons rappresenta una sorta di nume tutelare: benché sia discusso (e non solo per la sua carriera artistica), il suo nome e la sua arte attirano esperti e semplici curiosi. Le sue opere, che in realtà nascono con lo scopo di riflettere criticamente (e in modo ironico) sull’American way of life e sul consumismo, sono poi di semplice fruizione risultando amatissimo anche da chi l’arte sostiene di non riuscire a capirla.
Sono grandi, sono facilmente leggibili e, soprattutto, risplendono. Il titolo della mostra che a Palazzo Strozzi ha celebrato Jeff Koons e che chiude i battenti proprio fra pochi si giorni è, non a caso, Shine.
Il concetto di lucentezza (shine, appunto) è considerato da un duplice punto di vista: quello dello splendore (l’essere) e quello del bagliore (l’apparire). La superficie lucente delle sculture di Koons è uno specchio per i visitatori: l’arte li riflette e dovrebbe farli riflettere. Come ha detto lo stesso Koons: “Il lavoro dell’artista consiste in un gesto con l’obiettivo di mostrare alle persone qual è il loro potenziale. Non si tratta di creare un oggetto o un’immagine; tutto avviene nella relazione con lo spettatore. È qui che avviene l’arte”.
Per comporre la mostra di Firenze i curatori Arturo Galansino e Joachim Pissarro hanno scelto una serie di opere provenienti dalle collezioni e dai musei di tutto il mondo (ricordiamo che una delle più celebri sculture di Koons, Puppy, è stata scelta come opera permanente al Guggenheim di Bilbao).
Palazzo Strozzi poi, che fa le cose sempre fatte bene, ha pubblicato una serie di playlist su Spotify ispirandosi proprio alle opere che Koons che realizzato negli ultimi anno, pescando dai repertori rock, ultrapop o più ricercati. Io che sono una bimba degli anni Novanta ho particolarmente apprezzato “Celebration” (la ascolti qui).