Da quando la casa in cui ho passato la mia infanzia, la mia adolescenza e qualche anno della pre-maturità non esiste più, i ricordi degli spazi in cui ho vissuto e dei loro dettagli sono più vivi (e vividi) che mai. Quella casa la sogno spesso e se mentalmente apro le dispense della cucina vedo esattamente quel che contenevano, tipo la pasta nei contenitori della Tupperware, l’acqua Bracca nelle bottiglie di vetro, i formaggini Grundland, l’olio Carli, il Liebig, ecc.
Ci sono dei prodotti che hanno contribuito a costruire la storia mia e della mia famiglia: cose che sono rimaste invariate nel corso degli anni e che hanno in qualche modo dato una connotazione particolare, per esempio, alle nostre abitudini alimentari. L’acqua era solo la Bracca e l’olio era solo quello della Carli e per anni non ho pensato si potesse avere altrimenti sulla propria tavola.
Così, quando ho ricevuto l’invito a visitare l’azienda Fratelli Carli mi è sembrato per un attimo di tornare indietro nel tempo: per me alcuni prodotti erano stati relegati a un periodo passato e avere l’opportunità di ricostruirci un rapporto non mi è affatto dispiaciuto. La mia vita qui a Milano negli ultimi dieci anni è stata esplosiva e concitata e solo ora riesco, talvolta, a ritagliarmi una dimensione più umana, simile a quella che vivevo prima. Inserire nelle mie abitudini quotidiane cose che mi piacevano e che per svariati motivi ho perso per strada è un percorso che voglio intraprendere e la mia gita a Imperia è stato il primo passo per riuscire a farlo.
Quando entri alla Fratelli Carli ti sembra di stare in un universo parallelo: è tutto bello. Tutto. L’azienda, gli spazi, i bagni (!), i prodotti, il museo dell’Olivo, la linea di imbottigliamento, gli uffici, i cimeli storici dell’azienda e le persone. Tutte – tutte – piene di entusiasmo e di amore verso il proprio lavoro e verso la filosofia aziendale che da sempre, ovvero da 102 anni, è totalmente rivolta al prodotto e alla sua qualità.
Nelle due giornate passate a Imperia ho visto come l’olio viene imbottigliato (se non siete mai stati a visitare una linea di produzione, trovate il modo di farlo. Capire come-si-fa-cosa è un’esperienza che auguro di cuore a tutti quanti), ho ripercorso la storia dell’azienda tramite il packaging e i prodotti che si sono succeduti nel corso degli anni, ho finalmente capito come funziona un frantoio (alla Carli producono un olio extravergine DOP utilizzando olive taggiasche) e come deve essere piantato, curato e trattato un olivo (per esempio, lo sapevate che in luglio e agosto, a causa del gran caldo, le piante vanno in una sorta di letargo, altrimenti detto riposo vegetativo, e che non hanno quindi bisogno nè di cure, nè di essere bagnate?).
La Fratelli Carli ha anche un museo, il Museo dell’Olivo appunto, in cui è possibile percorrere tramite immagini e oggetti originali la storia delle olive, della loro coltivazione e del loro utilizzo. E’ stato proprio qui che ho potuto riflettere sul fatto che l’oliva, e quindi l’olio che ne deriva, è stata ed è ancora impiegata per gli usi più vari: come condimento naturalmente, ma anche nella cosmesi (avete mai sentito parlare della linea beauty di Carli, la Mediterranea?), per l’illuminazione, per produrre calore (vedi l’olio di sansa), come lubrificante, come unguento, come medicinale e, infine, ne viene sfruttato anche il legno (i prodotti e i mobili realizzati con l’olivo sono preziosi e particolarmente resistenti).
Riconoscere la bontà di un olio non è cosa facile: il mini-corso di degustazione che ho avuto l’opportunità di fare mi ha aperto un mondo che ha stabilito la mia totale incapacità di dare un nome a sapori non abitudinariamente codificati. Il che mi fa essere particolarmente tranquilla nello stare dall’altra parte della barricata, ovvero dove si mangia, si assaggia e si degusta qualcosa che chi ne ha le competenze ha decretato poter ritenersi di qualità.
Sono tornata a Milano con un sacco pieno di prodotti che mi hanno riportata indietro di almeno 15 anni: olio, tonno (l’avete mai assaggiato? Qualcuno pare se lo sogni la notte, vista la bontà), olive taggiasche, sughi (sì! fanno anche quelli), peperoncini ripieni (vi avverto, creano dipendenza) e sapone, forse fra tutte la cosa che mi fa sentire ‘bimba’. Lo sto usando tutte le mattine e tutte le sere sul viso con questa spazzola e il suo profumo, così delicato, ma persistente, funziona proprio come la madeleine per Proust. E ora che in questo mondo, così mio e così pregno di sicurezze, ci sono finalmente ritornata, sarà difficile, anzi impossibile, uscirne ancora.
Grazie alla Fratelli Carli, a Silvia e a chi ha condiviso con me questo mini tour in una delle aziende storiche dell’olio italiano.