Lo sto facendo diventare un evento e mi sono inventata un hashtag (#imparoacucinare) per testimoniare prima e ripercorrere poi le mie avventure al corso di cucina che ho deciso di seguire.
Ho iniziato martedì: siamo in quattro, io sono la più giovane e decisamente la più imbranata. Poco importa che io qui scriva quello che faccio e che dia un seguito virtuale alla mia esperienza reale: là non so sfilettare bene un pesce e quando faccio le palline di riso per gli arancini mi schizzano chicchi in ogni dove.
Però mi piace perchè per almeno tre ore alla settimana libero la testa dal lavoro e uso le mani. Mi rendo conto che per cucinare la testa mi serve sì, ma non come sono abituata a usarla di solito: niente ansie, niente retropensieri, niente necessità di anticipare reazioni e commenti altrui o prepararsi ad affrontare quegli sbattimenti che nel mio lavoro, un po’ come in tutti, sono il pane quotidiano.
E diversamente da come mi comporto di solito io, martedì sono stata particolarmente silenziosa: fluttuavo in un universo parallelo in cui tutto era nuovo e persino i miei movimenti all’inizio non sembravano assolutamente appartenermi. Ho davanti a me altri tre martedì in cui dovrò scoprire quali segreti si annidano nelle viscere dei pesci e durante i quali carpire i segreti per la loro perfetta cottura e per trasformarli, proprio con le mie manine, in un pasto degno di essere chiamato tale.
Se volete seguire le mie peripezie il martedì dalle 15 alle 18 cerco di postare qualcosa su Instagram e su Twitter con hashtag #imparoacucinare.