Il mio primo approccio con la cucina di un ristorante risale a un anno e mezzo fa quando ho avuto il piacere di un tour d’onore nelle cucine del Four Seasons di Milano. Poi è venuto il Canneto di Malpensa e, in generale, da quando mi interesso di food in modo semi-professionale pare che quella per me non sia più una zona off limits.
Le cucine professionali sono affascinanti perchè del tutto diverse da quelle domestiche: là dove noi cerchiamo praticità unita a piacevolezza estetica, i ristoranti e i loro chef sono decisamente più pragmatici. Questo, unito all’eterogeneità e alla quantità immensa di suppellettili, strumenti e ingredienti a disposizione, rende quel luogo una specie di mecca per chiunque sia anche solo vagamente appassionato di cucina.
Kitchen Confidential è il libro di Anthony Bourdain che ti permette di guardare dal buco della serratura là dove si preparano i pranzi e le cene che amiamo consumare fuori casa. Il punto di vista di chi racconta è, a mio avviso, decisamente parziale: non voglio poter credere che tutti gli chef siano stati (o siano!) dipendenti da droga, alcool e medicinali come lo è stato Tony. E non amo nemmeno credere che tutte le cucine siano dettate dalle stesse regole e dagli stessi ritmi.
Leggendo Kitchen Confidential ti rendi però conto di quanto la ristorazione sia un settore difficile: meritocratico da un lato (se in un ristorante si mangia male difficilmente avrà successo) e del tutto casuale dall’altro (quanti locali hanno una proposta gastronimica strepitosa eppure sono abbandonati dai clienti semplicemente perchè non sono conosciuti o perchè in una posizione ‘infelice’?); molto competitivo e portatore sano di sacrifici personali ed economici di chi decide di lavorarci.
Aprire un ristorante è molto più di una scelta: è una sfida. Con il proprio conto in banca in primis, con la propria capacità manageriale e non e con la propria idea di pianificazione. Non basta saper cucinare e mettersi a farlo, non basta avere mille amici disposti a portartene ai tavoli altri mille: il ristoratore è prima di tutto un manager che deve essere in grado di redarre un business plan, che deve avere il giusto fiuto per le materie prime e per i suoi fornitori, che deve saper scegliere il proprio personale e relazionarsi quotidianamente con esso. Non deve aver paura della stanchezza, della giornate da 36 ore e delle settimane da 10 giorni.
Una cosa per me è certa: dopo aver letto ‘Kitchen Confidential’ il sogno del ristorantino sulla spiaggia è svanito nel nulla. E ho acquisito anche alune altre certezze:
1) non mangerò più sushi e pesce in generale il lunedì;
2) finirò sempre il pane che mi viene portato al tavolo al ristorante, non fosse altro che per rispetto verso il cliente che arriverà dopo di me e che, 90 su 100, si troverà a dover ‘finire’ quanto avanzato da me;
3) dirò NO al brunch, a meno che non sia quello di, che ne so, il Four Seasons;
4) non mi azzerderò mai a prendere i frutti di mare dal pizzarolo-lercio sotto casa;
5) dirò un grande NO ai piatti speciali della domenica e del lunedì;
6) dirò un altrettanto gigantesco ‘non se ne parla’ all’insalata di mare.
P.S. dal libro hanno tratto anche una serie tv, dall’omonimo titolo e pare che sia arrivata anche in Italia (io non l’ho mai vista però!).