Venezia è silenziosa. Gridano i turisti, fischiano i vaporetti, sgasano le barche, ma lei continua a rimanere lì, elegantemente muta a guardare le persone passare, camminarla, esplorarla, provare a cambiarla senza riuscirci mai. Quando la guardi vedi Venezia com’è ora, com’era (grosso modo) un tempo e come, speriamo, sarà in futuro.
Venezia è tranquilla: affollata nelle calli che tutti percorrono è deserta altrove. Tanto da sentire i passi di qualcuno che cammina dietro di te, l’abbaiare di un cane lontano e i gridolini dei bambini che giocano a calcio sotto i panni stessi su un filo tra una casa e l’altra. Dite che stereotipizzo? Forse sì, ma è così che la vedo io.
Per la prima volta Venezia l’ho vista da fuori, da una posizione di per sé privilegiata che è quella della Giudecca, ma che lo diventa ancora di più se a guardarla, la Serenissima, lo fai dalle finestre dell’Hilton Molino Stucky (si legge come si scrive).
Un antico mulino, quello dove si faceva il pane, in attività per mano della famiglia Stucky dal 1884 fino al 1955 e poi abbandonato fino ai primi anni 2000 quando il gruppo Hilton ha iniziato a ristrutturarlo, aprendolo poi al pubblico nel 2007. Un lavoro che pur avendo completamente trasformato i 13 edifici (per un totale di circa 15.000 mq) che compongono la struttura alberghiera, ha avuto grande rispetto per l’architettura originale. Girando per i corridoi dell’hotel si respira ancora l’aria del vecchio mulino (e un profumo buonissimo): i mattoni a vista non sono insoliti, i passaggi a volta sono incantevoli, il giardino Stucky non è stato alterato e in un’ala è possibile leggere la storia della famiglia che dà il nome all’albergo.
Un hotel è pur sempre un hotel, direte voi. Certo, il numero delle ‘stelle’ qualcosa fa (e ci mancherebbe), ma lo scopo della struttura rimane sempre e solo quello. Al Molino Stucky si è invece fatto qualche passo (da gigante) in avanti: l’accoglienza supera qualsiasi tipo di aspettativa, i servizi sembrano non avere limite, le necessità (di chiunque) vengono totalmente soddisfatte.
Sei ristoranti, un bar, lo SkyLine che gode di una vista mozzafiato, una piazzetta brandizzata Nutella dove poter fare merenda o togliersi lo sfizio in qualsiasi altro momento della giornata con prodotti a base di crema di nocciola, una piscina panoramica sul tetto, salottini per il relax, una colazione pantagruelica, camere magnifiche vista Venezia (e non), un’area congressuale immensa (2.600 mq), la più grande SPA di tutta Venezia (si chiama Kelly e si estende su ben 600 mq) e una suite presidenziale (300 mq su tre piani con accesso esclusivo alla torretta e con ben 44 finestre a ogiva a illuminarla) che vorrei tanto diventasse casa mia.
L’atmosfera è raffinata, ma non rigida. I clienti sono variegati (i miei vicini di camera sembravano usciti da un film di Spike Lee, mitici!), si respira relax e comfort. In due parole (no, sono 3): si sta benissimo.
Sarà che ho viaggiato in ottima compagnia (Laura, Claudia, Laura, Paola, Stefano: grazie di cuore!), sarà che lo stomaco era sempre pieno di cibo buonissimo, sarà che dormivo sapendo che al di là dei vetri della finestra ad attendermi c’era la laguna, sarà che spritz, vino e Nutella mi hanno addolcito i sensi, ma i due giorni passati al Molino Stucky rientrano tra le esperienze indimenticabili della vita.
Ea “pasta e fasioi” del Bacaro, il Risoto manteca’ ae secoe, il fegato aea venexiana, el zesto de fritura de pesse misto co verdure e patate crocanti sono tra le specialità dello chef del Bacaromi, uno dei ristoranti del Molino Stucky, concepito come una vecchia cicchetteria veneziana, ma intriso di un’aurea decisamente contemporanea. Il menu è ricchissimo (io ho mangiato i cicchetti misti – pazzeschi – e il cesto di frittura – particolarissimo e assolutamente da provare) e oltre a quelle tipiche della tradizione si vanno ad aggiungere anche le ricette della nonne della Giudecca, ovvero piatti preparati esattamente come farebbe (o avrebbe fatto) una signora veneziana nata e cresciuta nell’isolotto più grande della laguna.
Prima di tornare a Milano ci hanno anche insegnato come cucinare un vero risotto da ristorante: cappello da cuoco in testa, grembiule in vita, tante risate (li riconoscete questi due qui sotto? :)) e la voglia di imparare qualche cosa di nuovo, di mangiare alle 10:30 e di non fare neanche una piega. Se questa non è vita allora qual è?
Dalla Giudecca poi mi porto via questa immagine: i gondolieri di domani che imparano il mestiere:
Grazie a Manuela, Erika e a tutto l’Hilton Molino Stucky per l’accoglienza e la disponibilità!