Sembra passato un secolo da quando scrivevo questo post qui: un secolo perché nel frattempo non sono ancora riuscita a staccarmi dalla musica che se mi capita di dimenticare a casa gli auricolari quando giro a piedi per la città mi sento improvvisamente nuda, un po’ quella sensazione che noi donne proviamo le rare volte che usciamo senza borsa, quelle in cui a una certa ti dici spaventata “Oddio l’ho persa/dimenticata/me l’hanno rubata!”.
La mia lista di ‘Preferiti’ su Spotify si allunga sempre di più: ci sono certi giorni che assecondo la riproduzione Shuffle e qualsiasi cosa mi proponga va bene, ce ne sono altri in cui invece sono io che scorro l’elenco e vado a scegliere la canzone che sembra fitti di più con il mio umore. Poi ci sono le volte che sembra che Spotify e la sua riproduzione casuale abbiano un’anima (o forse un cuore) e allora eccoli lì che mi snocciolano proprio quel che ho bisogno di sentire.
Sabato scorso poi sono stata al concerto di Paolo Nutini (e beh sì è stato uno di quelli da ‘ohwowsì’). Ero stata a sentirlo quattro anni fa all’inizio di una relazione che sembrava destinata a durare molto poco (oppure tantissimo che in certi momenti è la stessa cosa) e sotto il palco eravamo in pochi perché ancora in Italia così conosciuto Paolo non lo era. Candy era forse la sua canzone più famosa ed è quella che più mi ha scossa (o commossa) quest’anno perché dice “You’re my diamond in the rough” e per me è questa la definizione della persona che si ama. E invece sabato sera l’ho cantata tutta-tutta e al posto di avere la tristezza nel cuore, avevo un sorriso stampato perché “non c’è niente che sia per sempre“, lo dicono gli Afterhours, e hanno ragione. Non lo è tristezza, non lo è la malinconia e no, non lo è neanche la felicità (ma torna più facilmente delle altre due, garantito).
Dicono anche che “non voglio certo che tu sia la mia più bella cosa mai successa“, da sempre una delle mie più grandi paure e, ora, purtroppo, anche parte della mia realtà. Poi però penso a quella cosa che la vita è piena di sorprese e che sicuramente quel che è ora, non sarà poi.
Vasco mi riporta con i piedi per terra e mi dice che “i sogni […] son pochi quelli che si avverano“, ma nello stesso tempo mi galvanizza perché mi ricorda che “tu si che sei speciale […] sai sempre cosa fare e che cosa e’ giusto o no. Tu sei così sicura di tutto intorno a te che sembri quasi un’onda che che si trascina me”. Vasco un po’ si sbaglia che io mica sono così sicura, anzi mi sono trovata, forse per la prima volta in vita mia a pensare che “Mi hai chiamato in un giorno distratto, Dio com’è strano non sono sicura, ma col tempo ho capito il regalo: tu sei il rimedio, la vita e la cura“.
E ci sono certe mattine che “I get up, and nothing gets me down” (nella versione di Paul Anka mi diverte di più) e che mi dico che “se c’è un segreto è fare tutto come se vedessi solo il sole” anche se mi rendo conto che “E’ possibile abbia sogni sbagliati, un po’ illusi al momento. Mi appartengono“.
E poi, per finire, penso sempre che se sono stata capace, inconsciamente (?), di andare a un primo appuntamento indossando una maglia con la scritta ‘Love me forever’ non posso essere altro che una Superwoman.