La scorsa settimana incappo in questa iniziativa che prevede che in alcuni supermercati tu possa andare a fare la spesa legando un fiocchetto rosso al carrello, ovvero identificandoti come single e quindi pronto/a a ricevere le avance di chi è nella tua stessa situazione. Una sorta di “se vuoi rimorchiami, sono disponibile“. Sono particolarmente sensibile al tema, non perché voglia essere rimorchiata, ma perché finalmente mi rendo conto di quanto non sia facile conoscere qualcuno con cui stare bene e quanto spesso si senta il bisogno che questo accada. Nonostante la trovi squallida, insomma, comprendo il perché di questa iniziativa, comprendo la necessità della coppia (a vari livelli di profondità), ma non ne condivido il bisogno assoluto (per capirci meglio: la cosa del “non so stare da sola/o” è una cazzata. Quando ci provi DAVVERO non solo scopri di saperci stare, ma ti prepari meglio per non starci più).
Nel mentre stamattina finisco di leggere ‘Amori e disamori di Nathaniel P.‘ che consiglio a chiunque, uomo o donna che sia, single, fidanzato e sposato non importa, che abbia tra i 30 e i 40 anni. Il libro, nonostante sia stato scritto da una donna, racconta degli amori (e dei disamoramenti) di un uomo di poco più di 30 anni, Nate, che vive le relazioni esattamente come, forse, le vivono tutti i suoi coetanei. Utile per le donne (scopriamo cose che già sappiamo, ma se ce le dice qualcun altro sembrano più vere, no?) ed educativo per gli uomini (le seghe mentali non sono solo ad appannaggio femminile e se vi pentite quando ci lasciate andare, noi non esultiamo, no. Vi odiamo ancora di più).
Posto che mi sta bene un po’ tutto, cioè che non penso più che ci sia un modo giusto per comportarsi nelle relazioni o uno da evitare assolutamente, posto anche che finalmente ho capito che ognuno fa davvero solo ciò che può (ti ricordi questo post?), pensavo che sì è vero le differenze tra uomo e donna sono tantissime e che siamo belli proprio perché non siamo uguali e perché queste differenze non le capiamo mai fino in fondo (altrimenti che differenze sarebbero?), ma c’è una cosa che, più di ogni altra – per me -, ci mette spesso agli antipodi.
Si chiama ansia da prestazione e, ti svelo un segreto, ce l’hanno tutti, chi più, chi meno, e no, non solo quando si parla di relazioni. L’ansia da prestazione è una cosa strana perché non ti fa sentire ‘abbastanza’ rispetto a quel che hai davanti. Anche se in fondo sai che è solo una proiezione errata di te stesso nei confronti di una determinata situazione, anche se sai che non è reale, ti rendi però conto che ‘realtà’ è la cosa che vivi e non la ‘cosa’ che c’è davvero.
Là fuori è pieno di uomini che soffrono di ansia da prestazione (e pieno anche di uomini che no) e di donne che condividono la stessa sensazione: solo che le femmine la chiamano paura. Fottuta paura. Ma è di paura che si cibano queste strane creature, è la paura che fa buttare loro il cuore al di là dell’ostacolo, sempre (o quasi). È paura di trovarsi dopo l’ostacolo da sole e con il cuore in mano ed è anche paura di trovarsi in due e non sapere come fare a reggere un cuore con quattro mani.
È una paura fottuta che ci prende lo stomaco, la testa, la gambe. È la ragione, forse all’inizio l’unica, che ci permette di decidere di andare avanti. Perché quando la paura non c’è capiamo che forse non ne vale la pena. Perché la paura è l’anticamera della serenità così come la malinconia quella della felicità.
L’altra metà del cielo, invece, dalla paura spesso si fa bloccare: l’ignoto è tutto scuro e abituarsi a riconoscere le forme al buio è un casino davvero, lo so anch’io. E così, spesso (ma non sempre, giuro, provato sulla mia pelle), fa marcia indietro, oppure, peggio ancora (per noi, dico) si ferma ad aspettare che le cose succedano. Ma se un po’ di acqua sotto i ponti l’hai fatta passare, sai che le cose da sole-sole non succedono (più) e che la spintarella al destino è cosa buona e giusta. Spintarella eh, mica traino con 10 cavalli.
Uomini che state leggendo: l’ansia da prestazione ce l’abbiamo anche noi, eccome. Solo che la chiamiamo paura e 90 volte su 100 di questa paura ce ne fottiamo, o meglio, siamo pronte (anche no, ma ci illudiamo che sia così) a pagarne le conseguenze, comunque vada. Se il cuore oltre l’ostacolo lo buttate (e se lo seguite) ad aspettarvi troverete noi, imperfette e mentalmente segalitiche, ma con braccia e gambe forti per dividere il peso di una paura che poi paura non lo sarà più.
“Di norma agli uomini serve una ragione per chiudere una storia, mentre alle donne ne serve una per farla andare avanti. È per questo che, a cose fatte, gli uomini ripensano a tutto ciò che non andava in quella storia, per accertarsi di aver fatto bene a chiuderla. Le donne, al contrario, guardano indietro per capire cosa poteva essere diverso, cosa poteva far funzionare il rapporto”.
Adelle Waldman – Amori e disamori di Nathaniel P.