Ho scoperto Philip Roth nell’estate del 2009 a Berlino: in valigia, oltre ai vestiti, c’era anche Pastorale Americana, uno dei suoi capolavori, che un amico mi aveva prestato tempo prima.
In realtà Roth l’avrei potuto leggere e scoprire anni prima visto che nella casa in cui vivevo c’era il suo Ho sposato un comunista. Ma allora ero piccola, non certo di statura e nemmeno di età, e avevo bannato quel libro, senza neanche sapere cosa fosse, come una delle letture che mi avrebbero certamente annoiata.
Dopo aver divorato Pastorale Americana, ho letto altro di Roth, anche se tendo a centellinarlo: i suoi libri per me sono così perfetti da non meritare quella sospensione lunga giorni, settimane o mesi che destino ad altri scrittori. Ho paura di finire il leggibile e quindi di sue opere ne leggo una, due se capita, all’anno.
E ora che sto leggendo Everyman mi ripeto che Roth è un fottuto genio: perchè scrive spesso dello stesso tipo d’uomo, con lo stesso ritmo e con lo stesso stile, ma ogni volta è roba nuova. E sempre stupenda.