Quando entri nella sede di Nestlé ad Assago, poco prima dei tornelli, ciò che vedi è una bacheca con le foto e i nomi degli animali domestici dei dipendenti dell’azienda che, muniti di patentino, hanno il permesso di accompagnare i loro padroni in ufficio e passare le giornate lavorative lì, con loro.
È così che un’azienda con migliaia di dipendenti si apre a una necessità difficilmente misurabile, ma non per questo meno concreta, individuata da quell’ascolto informale capace di rendere le richieste quanto meno passibili di auto-censura. Non è un segreto infatti che i quattro-zampe favoriscano la socializzazione e il lavoro di team, aiutando a diminuire lo stress e ad aumentare la produttività.
Questa, però, è solo la punta dell’iceberg del cosiddetto welfare aziendale, ossia di tutte quelle iniziative e di quei benefit non monetari che le aziende attivano per aumentare il benessere socio-economico dei propri dipendenti (e di riflesso quello delle loro famiglie), favorendo una maggiore coesione interna a vantaggio di una migliore produttività e di un’elevata fidelizzazione all’azienda.
Le organizzazioni che puntano sul welfare sono ormai tantissime: si stimolano l’un l’altra nell’ottica della messa a punto di un circolo virtuoso che abbia lo scopo di rendere il benessere delle proprie risorse una delle priorità aziendali.
Ne ho parlato qualche giorno fa proprio in Nestlé Italia riflettendo su come le persone siano spesso più felici di essere considerate non tanto per quello che fanno, ma quanto invece per ciò che pensano.
Se ti muovi in un contesto nel quale le tue necessità quotidiane, ma, perché no, anche i tuoi sogni non vengono minimizzati, ma anzi tenuti in considerazione e valutati come un bene prezioso per l’azienda nella quale lavori, è altamente probabile che, semplicemente, sarai felice e che la tua felicità, unita a quella di tutti gli altri, genererà una maggiore produttività.
Per questo e per altri motivi, da alcuni anni in Nestlé Italia sono nate le cosiddette Community Emozionali, gruppi di lavoro volontari i cui membri sono naturalmente accomunati da un interesse e una passione personali nei confronti di varie tematiche.
È a partire proprio da una di queste community che è nata l’idea – poi resa concreta – di una biblioteca aziendale gestita in collaborazione con una delle associazioni attive presso il carcere di Opera che ha accompagnato un ex detenuto nella fase di reinserimento lavorativo proprio con un tirocinio di 12 mesi presso l’azienda. L’obiettivo, oltre a fornire un’opportunità concreta di ritorno alla vita sociale, è anche quello di favorire l’integrazione e la convivenza quotidiana tra figure professionali con un background decisamente diverso, lavorando ancora una volta sull’emozione della diversità, valore da considerare e da massimizzare quanto più possibile.
Chiudo con 2 fun fact che danno l’idea di quel che significa pensare oltre il proprio contesto aziendale in senso stretto:
- Sabato 29 giugno la parata del Pride arriverà anche a Milano dove – è bene ricordarlo – si sfilerà per la bellezza degli equi diritti, indipendentemente dalla propria preferenza sessuale. Se segui i social, saprai che a essere protagonisti saranno anche i prodotti di tante aziende, opportunamente declinati nei colori dell’arcobaleno: c’è chi l’ha definita una furberia, ma a me piace pensare che sia uno dei tanti per modi per puntare i riflettori nell’unico luogo dove dovrebbero stare accesi.
In tutto questo Nestlé farà un ulteriore passo avanti sfilando come azienda supportando la propria Community emozionale LGBT e sostenendo così che l’integrazione di qualsiasi tipo di diversità non debba essere semplice filantropia, quanto un vero e proprio valore.
- Lo smart working è attivo per tutte le figure professionali che lo possano praticare (va da sé, per esempio, che chi lavora sulla linea produttiva non sia in grado di avvantaggiarsene). Viene sfruttato – con successo – soprattutto dai dipendenti nella fascia d’età 30-40 nel pieno rispetto del team di lavoro in cui si opera e degli obiettivi da portare a termine (Nestlé è una di quelle aziende in cui si lavora per obiettivi e non per orari, ndr).
- Se è vero che è ben da prima della legge di stabilità che l’azienda ha portato il congedo di paternità fino a 15 giorni (retribuiti al 100%) è anche vero che negli ultimi 4 anni le maternità in azienda sono aumentate del 198%, disegnando un percorso di speranza in un Paese che, purtroppo, negli ultimi due anni ha registrato un tasso di natalità ridicolo, portando ad auto-definirsi una nazione fantasma.