L’impatto, quando arrivi in Asia, è forte. Per descrivere la sensazione con una frase semplice, potrei dirti che “c’è sempre qualcuno“. Ovunque tu sia. Qualsiasi cosa tu stia facendo. Ci sarà qualcuno che sta facendo la stessa cosa o che ne sta facendo un’altra, ma proprio lì, appiccicato a te. E questo qualcosa farà rumore che andrà a sommarsi al costante strombazzare, sgasare, parlare, urlare (ma non perché qualcuno sia arrabbiato) che ti circonderà. Sempre. Ci sono delle eccezioni ovviamente, ma per generalizzare posso dirti che solo, eventualmente, non ti ci sentirai mai.
Sarà proprio questo – e il contrario di tutto ciò (le famose eccezioni di cui sopra) – che ti mancherà pazzamente quando tornerai qui. Deve essere una parte del mal d’Asia di cui, è evidente, io soffro un po’. Questa (doverosa) premessa per dirti che se il tuo ideale di vacanza è l’isola greca (che – attenzione – io adoro) o, d’altra parte, l’ordinatissima, pulitissima e mai inopportuna capitale europea (amiamo anch’essa, ovviamente), 3 settimane tra Birmania e Thailandia sono un filo più complicate, sia dal punto di vista logistico e di sbattimento, sia da quello del “doversi adattare”. Detto questo, qui ti racconto le tappe del mio viaggio estivo appena concluso, con qualche consiglio e curiosità.
Siamo partiti alla fine di luglio con l’idea di fare una settimana in Myanmar e due in Thailandia. Abbiamo volato con Thai Airways (scalo a Vienna all’andata e diretto su Milano al ritorno) e ci siamo trovati mediamente bene (l’anno scorso con Qatar ci era andata decisamente meglio).
Nel post di oggi ti racconto della prima settimana di viaggio, passata in Myanmar.
Tappa 1: Bangkok (1 giorno)
Siamo arrivati all’alba e ripartiti la mattina successiva. La giornata ci è servita per rimetterci vagamente in sesto, gestire il primo impatto asiatico e scoprire che Bangkok è enorme, caotica e super trafficata! Spostarsi con i mezzi è pressoché impossibile a meno che i posti in cui devi andare non siano esattamente sul percorso della metropolitana e dello Skytrain. Va da sé che taxi (anche qui esiste Grab) e tuk-tuk siano le soluzioni non più economiche, ma sicuramente più comode e veloci.
Abbiamo visitato il Grand Palace che custodisce il Buddha di smeraldo: per farlo sono obbligatori pantaloni o gonna lunghi sia per le donne, sia per gli uomini, ma si possono tenere le scarpe (in molti luoghi, pubblici e sacri, sia in Tailandia, sia in Myanmar, si accede unicamente scalzi). A piedi abbiamo poi raggiunto la Golden Mountain (tappa consigliatissima), una collinetta che si raggiunge percorrendo una scalinata dalla quale si gode della vista di Bangkok dall’alto. Qui – stranamente – c’è silenzio non fosse altro che per le golden leaves, le foglie d’oro attaccate a una sorta di campanella che vengono fatte risuonare al vento, omaggio a Buddha da parte dei credenti.
L’hotel che abbiamo scelto è dimenticabile e non te lo consiglio, ma era un buon compromesso per essere vicini allo Skytrain e raggiungere poi in meno di un’ora l’aeroporto la mattina successiva.
Tappa 2: Yangon (1 giorno)
Città decisamente asiatica: molto (molto) trafficata, altrettanto caotica, non pulitissima. In qualche zona mi ha ricordato un po’ L’Havana (saranno state le case colorate in decadenza) e quel sapore post coloniale della vecchia architettura. Noi abbiamo scelto un hotel vicino (una decina di minuti a piedi) alla Pagoda Shwedagon, lo stupa d’oro più sacro in assoluto per i birmani, alto quasi 100 metri, che ospita le reliquie di 4 Buddha. La pagoda è impressionante: maestosa, imponente seppur delicata, abbagliante: si entra scalzi, dopo aver salito una delle 4 scalinate presenti ai 4 ingressi. Il giro dura circa un’ora, di più se vuoi soffermarti a studiare i bellissimi affreschi alle pareti del muro che cinge lo spazio del tempio. Cercheranno di venderti le foglie d’oro che in questo caso sono proprio piccoli pezzi di oro da “appiccicare” sui Buddha (solo gli uomini posso farlo) in segno di celebrazione e rispetto.
Consigliatissima una visita a The Strand, l’hotel che per anni ha condiviso la stessa priorità del Raffles di Singapore: un luogo elegantissimo e particolarmente tranquillo che ha recuperato il fascino dell’epoca coloniale restituendolo a una clientela internazionale e che non ha paura di spendere cifre “normali” per i canoni occidentali e decisamente fuori di testa per quelli asiatici. Noi ci siamo concessi un club sandwich con birra durante uno dei tipici acquazzoni del sud-est asiatico (durano meno di 30 minuti, sono violentissimi e poi non ne rimane traccia, benedetto caldo).
Yangon è però anche famosa per il mercato (Bogyoke Aung San Market) che si sviluppa nella parte Nord della città e che include una serie infinita di bancarelle che vendono oggetti di giada (questa pietra è tipica di tutto il Myanmar).
Per cena abbiamo optato per questo ristorante e non ce ne siamo pentiti: atmosfera elegante, cibo ottimo (la specialità del Myanmar è il curry – al pollo, al manzo, al maiale o vegetariano) e prezzo onesto anche se alto per gli standard del posto (circa 20 Euro in due, vino compreso).
Tappa 3: Bagan (2 giorni)
Se c’è un posto che mi rimarrà impresso a vita, non c’è dubbio, questo posto è Bagan. Descriverlo a parole è praticamente impossibile: se ti dico che si tratta di una distesa a perdita d’occhio di circa 3.000 templi buddisti sto dicendo la verità, ma non facendo un buon servizio alla meraviglia che ti si para davanti.
Noi abbiamo soggiornato in un hotel con piscina poco lontano dall’aeroporto, abbiamo noleggiato uno scooter elettrico (gli stranieri in Myanmar non possono guidare scooter con motore termico) e siamo partiti all’avventura, ossia un giro minuzioso delle aree dove si concentrano i templi più belli (nel nostro caso il personale dell’albergo – tutti gentilissimi – ci ha dato una mano a selezionare ciò che valeva davvero la pena visitare). Ho girato un breve video che trovi qui e che spero possa darti – anche solo vagamente – l’idea di questo luogo che non ha eguali. Molti dei templi sono stati danneggiati dal terremoto che ha colpito la zona pochi anni fa e quindi non è possibile accedervi; altri sono stati chiusi esternamente e sono visitabili solo nel loro “piano terra”. Altri invece sono completamente accessibili e possono essere letteralmente scalati: nel tuo giro troverai ragazzini birmani che in cambio di pochi centesimi ti porteranno alla scoperta di queste meraviglie. Approfittane.
Bagan si divide sostanzialmente in due zone: la Old Bagan (la città vecchia) e la New Bagan. Non fare come me e non immaginarti delle vere e proprie città. Si tratta di un piccolo ammasso di stradine sterrate ai cui margini sorgono capanne e ristoranti. A New Bagan c’è anche una (anzi due) succursale dell’Ostello Bello (se vivi a Milano lo conoscerai benissimo): noi ci siamo passati una mattina per un succo e un po’ di wi-fi.
Un (bel) souvenir che puoi acquistare qui, è un (qualsiasi) oggetto realizzato in bambù e poi laccato: si tratta di piccoli capolavori e trovi dai piatti alle tazze, dai vasi ad accessori vari per la cucina.
Nota: l’ingresso alla zona archeologica di Bagan ha un costo di circa 10 Euro a persona che dovrai pagare appena arrivato all’aeroporto. Il ticket vale per una permanenza massima di 3 giorni e non è rinnovabile.
Tappa 4: Lago Inle (2 giorni)
Hai presente quelle foto – famosissime – dei pescatori in equilibrio su una gamba a poppa (o a prua) della loro barchina mentre lanciano o issano a bordo le reti da pesca? Ecco: se anche tu ne vuoi scattare una simile, il luogo giusto per farlo è proprio il Lago Inle. L’aeroporto più vicino è quello di Heho: da qui, in circa un’ora e mezza, raggiungi le sponde del lago dove ti consiglio di cercare un (buon) albergo.
La zona di Inle è protetta, ragione per la quale ti verrà chiesto di pagare un ticket di ingresso di circa 13 Euro a persona, ottimamente spesi.
Noi abbiamo optato per questo hotel e mai scelta fu più azzeccata: il nostro primo pomeriggio di permanenza l’abbiamo trascorso gironzolando per le sponde del lago in bicicletta. A circa 20 minuti dall’albergo c’è infatti un molo dove la popolazione locale (millenials in primis) si riversa per passeggiare, rilassarsi, incontrare gli amici. Avendo scelto di viaggiare in questa zona del mondo in bassa stagione (nel sud est asiatico e in particolare tra Tailandia, Myanmar e Vietnam è periodo di monsoni) i turisti sono pochissimi (noi e un’altra famiglia italiana – caso davvero strano – eravamo gli unici) e ci si riesce a fare un’idea più precisa di cosa voglia dire vivere qui.
La seconda giornata trascorsa a Inle abbiamo noleggiato (ma non condotto) un barchino e fatto il giro delle attività artigianali che sorgono sulle sponde del lago: qui infatti vengono prodotti oggetti d’argento, tessuti di seta, cotone e loto (eh sì, il filamento del fiore di loto può essere filato!), sigari, ombrelli di carta (tipici del Myanmar) e ovviamente le barche di legno sulle quali i pescatori pescano e i turisti gironzolano. Ma, soprattutto, NEL lago Inle crescono rigogliose piante di pomodoro che i contadini qui concimano proprio con le alghe del lago. Tutto molto, molto suggestivo. Esattamente come è stato pranzare su una delle palafitte del lago che in menu ha, ovviamente, un fish & chips a Km 0. Super gustoso.
Da Inle siamo poi tornati a Yangon con un lungo stop over in aeroporto alla volta di Bangkok. La seconda parte del viaggio (Prachuap Khiri Khan + Koh Tao) te la racconto la prossima settimana. Qui sotto trovi invece alcune curiosità/suggerimenti sul Myanmar:
- per entrare in Myanmar occorre avere un visto che puoi fare online qui e che ha una validità di 3 mesi dalla data di ingresso nel Paese. Costa 50 dollari a testa;
- se prima di partire controlli anche tu il sito Viaggiare Sicuri, leggerai che per il Myanmar viene consigliata la profilassi della malaria. La malattia è abbastanza diffusa nel Paese, ma soprattutto nelle zone di campagna/remote. Aree che noi non abbiamo battuto – anche se sarebbe stato bello – per mancanza di tempo: di conseguenza niente profilassi per noi, ma sempre tanto (tanto) repellente per le zanzare (che ci sono, ma meno di quanto ci si possa aspettare);
- alcune guide e blog di viaggi consigliano di avere dei dollari a disposizione: noi siamo arrivati nel Paese senza (per scelta) e non abbiamo avuto alcun problema a trovare (tanti) bancomat dai quali prelevare la valuta locale. Considera solo che ti conviene spenderla tutta perché non viene cambiata;
- la maggior parte delle donne e degli uomini (anche i ragazzi molto giovani) indossano la gonna Longyi, tipica del Paese. Si tratta di fatto di due pezzi di stoffa uniti sui lati lunghi, da infilare come una gonna e da chiudere facendo un nodo in vita;
- sono moltissime le donne – di qualsiasi età – che si cospargono le guance e spesso addirittura l’intero viso di polvere di Thanakha, un albero simile al sandalo. La motivazione non è solamente estetica: pare infatti che questa “pasta” funzioni come filtro solare e repellente per zanzare e insetti vari;
- le donne – forse proprio perché indossano questa gonna – su biciclette e motorini, quando sono “zavorrine”, viaggiano all’amazzone. Ho amato assai;
- lo leggerai ovunque ed è vero: i birmani sono sorridenti, sono gentili e sembrano essere felici. Hanno molto poco, ma la percezione è che vogliano darti tanto, farti stare bene nel loro Paese e mettersi quanto più possibile a tua disposizione. È una sensazione molto bella.